L’arte della Resilienza di Roberto Ferrario

"Ascoltare, osservare e non abbattersi mai"

Foto Roberto Ferrario

L’arte della Resilienza di Roberto Ferrario.

Ascoltare, osservare e non abbattersi mai.

“Quando ho iniziato la mia carriera ho giocato nel Monza, nelle giovanili, in prima squadra ho fatto qualche amichevole. Era un bel Monza con Boldini allenatore. Poi sono finito a giocare tra eccellenza e Serie D, Bellusco Tritium Olginatese, abbiamo vinto anche un campionato: tutto fino a quando la caviglia ha fatto crack”.

La storia di Roberto Ferrario, allenatore e responsabile delle giovanili della ViBe Ronchese, non è molto dissimile a quella di tanti giovani talenti del nostro calcio. Tante speranze, voglia di lottare finché il destino, in questo caso un difensore, non decida per noi quando è il momento di smettere: “Giocavo da seconda punta, non ho mai fatto molti gol eh (ride ndr) e ancora prima facevo il trequartista. Quando il modulo in voga era il 4-4-2 le mie chance erano o essere messo sulla fascia o in avanti: mi è toccata la seconda opzione o almeno fino all’infortunio.”

Roberto si è infortunato quando aveva 28 anni, un’età in cui un calciatore ha ancora tanto da dare: “Un difensore mi ha colpito in pieno da dietro, come un treno. Lì era già tutto finito, mi hanno operato tre volte, messo ferri e viti nella caviglia. Ho fatto tutta la riabilitazione come se dovessi tornare a giocare, mi sono impegnato a lungo ma quando era arrivato il momento di tornare ho capito che la testa non rispondeva più, che avevo troppa paura.”

Il calcio però era un richiamo troppo forte per lui e di abbandonare definitivamente il campo non era ancora il momento: “Mi son messo a studiare per diventare allenatore e ho preso il patentino UEFA B, fortunatamente ho lasciato un bel ricordo nelle squadre che ho giocato e, complice la panchina vacante della mia ex squadra Bellusco, sono tornato subito in sella”.

Dopo Bellusco anche Arcore e Roncello fino al giorno che in un certo senso ha cambiato la prospettiva stessa del gioco per lui: Ho dovuto mollare tutto perché ho scoperto di essermi ammalato: avevo un tumore, precisamente un linfoma. Da lì ho deciso che avrei dovuto lasciare e concentrarmi sulle cure che, fortunatamente, sono andate bene.”

Non c’è rabbia nelle sue parole, ma si avverte il groppo in gola quando lo dice; esita leggermente nel pronunciare le sillabe “tu-mo-re”. Vi posso però garantire che la sensazione è durata meno del tempo di pronunciare la parola stessa, Roberto ha un ottimismo contagioso ed è un piacere ascoltarlo mentre racconta la sua esperienza: “Dopo essere guarito un mio amico mi ha tirato dentro di nuovo a Ronco. Ho cominciato ad allenare i bimbi, fatto tutti i corsi del Milan e alla fine eccomi qua. Mi è andata anche bene, perché nel frattempo ho anche avuto due figli che sono qui con me!”

Il più grande ha 11 anni, 8 il secondo, uno roccioso difensore centrale mentre trequartista il più piccolo.

Chissà che pressione devono avere gli allenatori dei suoi figli: “Beh in realtà il secondo: lo alleno proprio io purtroppo! Quando entriamo in campo, sarà per la mia esperienza a Monza che mi ha molto inquadrato, non lo vedo come mio figlio ma solo come un giocatore come gli altri. La differenza? Beh, quando gli capita di fare gol io esplodo letteralmente di gioia due volte.”

Ruolo di allenatore che non gli impedisce, come già detto, di essere anche il nostro responsabile delle giovanili, che svolge con una sua filosofia: “Io sono uno a cui piace molto il dialogo, faccio parlare anche i sassi!” – e confermiamo la cosa- “Mi piace essere aperto con gli allenatori, col presidente e parlare coi genitori che lo reputo molto importante. Devo cercare di aiutare i giovani allenatori, nessuno mi ha mai indirizzato e ho fatto tutto sulla mia pelle. Ho sbagliato, ci ho pestato la testa ed imparato dai miei errori e per questo che dico loro: usatemi. Sfruttate la mia esperienza non perché abbia la verità in mano, ma perché ci son passato prima di voi.”

Esperienza che ha insegnato molto a Roberto: “Osservare tanto, ascoltare anche di più e cercare di immedesimarmi nei miei giocatori. Quello a cui tengo di più è l’aspetto umano, rispetto e coerenza partiamo sempre da lì. Il secondo punto è quello di non snaturare né illudere i miei giocatori. Uno dei libri più bello che ho letto è quello di Montali “Scoiattoli e Tacchini”, ovvero non possiamo giudicare un tacchino dalla sua abilità di salire sugli alberi visto che non può. Lo dico sempre ai genitori che non prenderò mai in giro i loro figli ma cercherò sempre e solo di fare il massimo per aiutarli a crescere.”

E onestamente, detto da una persona come lui, non si può non crederci.

VIBE Ronchese